FESTA ACLITOSCANE: INTERVISTA CON GIOVANNI BIANCHI, PRESIDENTE DELLE ACLI NAZIONALI NEGLI ANNI ´90
11-07-2015 15:45 - NEWS ACLI TOSCANA - territorio

Alla IV Festa regionale delle Acli che si tiene a Buti (PI), partecipa anche sabato 11 Luglio alle ore 21,15, l´0n.Giovanni Bianchi, indimenticato Presidente Nazionale delle Acli negli anni ´90 che ripercorre in questa intervista di Gabriele Parenti alcune pagine importanti della storia delle Acli e della vita politica. Tra i vari libri di Giovanni Bianchi ce n´ è uno "Le ali della politica" di cui si parla in questa intervista e che dà il senso profondo del suo impegno aclista.
E´ possibile sintetizzare un ricordo dei tuoi anni di Presidente delle Acli?
Si ripercorrono volentieri i ricordi più belli. Ho ancora in mente la mattina di quell´ 8 dicembre del 1991 quando in Sala Nervi le Acli, dopo vent´anni dalla deplorazione di papa Paolo VI, tornavano in Vaticano. Avevamo lavorato molto ricevendo udienza e aiuto anche da vescovi piuttosto moderati. Un timore tuttavia mi assillava: ci sarebbe stata come contropartita la richiesta di un qualche aggiustamento della linea? Francamente non ero disponibile perché non lo ritenevo né necessario né giusto. Telefonai a don Giuseppe Dossetti, che non avevo mai incontrato prima, e durante un incontro a Monte Veglio gli posi il quesito. Dossetti rispose subito e con l´abituale franchezza: "Se ti chiedono di ridefinire le Acli, tu dirai: le Acli sono un´associazione di lavoratori cristiani nota e non disconosciuta dalla Chiesa. Il resto viene dal maligno". Preparai il discorso che mandai oltretevere. Non fu cambiata neppure una virgola e al momento di consegnarlo al Papa, Giovanni Paolo II, con uno dei suoi gesti storicamente eloquenti, gettò i fogli alle spalle e mi abbracciò. Avesse scritto un´enciclica dal titolo "Viva le Acli!" non avremmo ottenuto lo stesso risultato.
Quali furono i terreni d´impegno più rilevanti?
Ognuno di noi vive dentro un disegno provvidenziale e risponde ai segni dei tempi che caratterizzano la sua fase storica. Le ACLI della mia presidenza (e lo dico al plurale, perché il nostro fu davvero un fraterno lavoro di squadra) attraversavano l´ultima fase dei movimenti storici e affrontavano l´inizio di una stagione politica difficile che Gabriele de Rosa chiamò "la transizione infinita". Per questo ai nostri occhi le trasformazioni del lavoro che attraversavano tutto il sociale e quelle della politica che interessavano le istituzioni si tenevano strettamente. Bisognava stare in campo aperto, ma c´era anche il gusto di un´avventura esaltante e senza mappe. Del resto le ACLI non sono mai vissute semplicemente. Aveva ragione Livio Labor quando per definirle usava la metafora del calabrone, che continua a volare e tu non riesci a capire come e perché.
Dopo la Presidenza delle Acli ,quella del neonato PPI.. scrivesti un libro "Le ali della politica" che fa una certa impressione rileggere oggi perché si passa da S.Agostino a Kierkegaard a Kant.... ma in queste ali sembrano oggi tarpate. Cosa non ha funzionato?
Ribadisco che la nostra era la stagione dei grandi soggetti storici, della quale aveva colto il senso il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il movimento operaio, le donne, le nuove generazioni... Le pagine che ho scritto hanno sempre cercato due cose: capire la direzione e trovare un fondamento sul quale costruire un punto di vista. È meglio avere un punto di vista sbagliato che non averne nessuno. Quella di oggi è tutt´altra stagione. Ha vinto quella che allora alcuni di noi incominciavano a sospettare come politica "senza fondamenti". Una politica che si occupa più della rappresentazione del mondo che del mondo e dei suoi problemi. Lasciando ovviamente ad altri nel backstage la gestione e la soluzione dei problemi reali. Non sono impressionato dalle leadership, ma è necessario che esse usino il consenso ottenuto per andare dietro la scena a tentare di risolvere i problemi quotidiani della gente. Quando finisce l´evento, gli esclusi restano, e tu devi occuparti di loro. Sarebbe una beffa lasciare soltanto a papa Francesco questo sguardo e questo invito.
La politica dovrebbe essere soprattutto partecipazione.. per questo non basta twitter. Che ne pensi?
I mezzi di comunicazione servono ovviamente a comunicare... Il problema è evitare una comunicazione vuota e narcisistica. Un narcisismo che non nasce dentro, ma è indotto da sopra e da fuori dal comando della società dei consumi. Mi va bene usare twitter, purché non si sottoponga tutta la realtà a una lettura veloce. Diceva WoodyAllen: "Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto "Guerra e Pace". Parla della Russia"... Sono rimasto un cattolico democratico impenitente e aperto al futuro, e penso, come Sturzo, che la democrazia non sia un guadagno fatto una volta per tutte e che debba essere ogni volta rigenerata attraverso la partecipazione. E che i luoghi essenziali della partecipazione siano i Comuni e le associazioni: quelli che giustamente la dottrina sociale della Chiesa continua a chiamare "corpi intermedi". Non solo le ACLI debbono essere attente ai corpi intermedi e capaci di ripartire ogni volta da essi.
E´ possibile sintetizzare un ricordo dei tuoi anni di Presidente delle Acli?
Si ripercorrono volentieri i ricordi più belli. Ho ancora in mente la mattina di quell´ 8 dicembre del 1991 quando in Sala Nervi le Acli, dopo vent´anni dalla deplorazione di papa Paolo VI, tornavano in Vaticano. Avevamo lavorato molto ricevendo udienza e aiuto anche da vescovi piuttosto moderati. Un timore tuttavia mi assillava: ci sarebbe stata come contropartita la richiesta di un qualche aggiustamento della linea? Francamente non ero disponibile perché non lo ritenevo né necessario né giusto. Telefonai a don Giuseppe Dossetti, che non avevo mai incontrato prima, e durante un incontro a Monte Veglio gli posi il quesito. Dossetti rispose subito e con l´abituale franchezza: "Se ti chiedono di ridefinire le Acli, tu dirai: le Acli sono un´associazione di lavoratori cristiani nota e non disconosciuta dalla Chiesa. Il resto viene dal maligno". Preparai il discorso che mandai oltretevere. Non fu cambiata neppure una virgola e al momento di consegnarlo al Papa, Giovanni Paolo II, con uno dei suoi gesti storicamente eloquenti, gettò i fogli alle spalle e mi abbracciò. Avesse scritto un´enciclica dal titolo "Viva le Acli!" non avremmo ottenuto lo stesso risultato.
Quali furono i terreni d´impegno più rilevanti?
Ognuno di noi vive dentro un disegno provvidenziale e risponde ai segni dei tempi che caratterizzano la sua fase storica. Le ACLI della mia presidenza (e lo dico al plurale, perché il nostro fu davvero un fraterno lavoro di squadra) attraversavano l´ultima fase dei movimenti storici e affrontavano l´inizio di una stagione politica difficile che Gabriele de Rosa chiamò "la transizione infinita". Per questo ai nostri occhi le trasformazioni del lavoro che attraversavano tutto il sociale e quelle della politica che interessavano le istituzioni si tenevano strettamente. Bisognava stare in campo aperto, ma c´era anche il gusto di un´avventura esaltante e senza mappe. Del resto le ACLI non sono mai vissute semplicemente. Aveva ragione Livio Labor quando per definirle usava la metafora del calabrone, che continua a volare e tu non riesci a capire come e perché.
Dopo la Presidenza delle Acli ,quella del neonato PPI.. scrivesti un libro "Le ali della politica" che fa una certa impressione rileggere oggi perché si passa da S.Agostino a Kierkegaard a Kant.... ma in queste ali sembrano oggi tarpate. Cosa non ha funzionato?
Ribadisco che la nostra era la stagione dei grandi soggetti storici, della quale aveva colto il senso il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il movimento operaio, le donne, le nuove generazioni... Le pagine che ho scritto hanno sempre cercato due cose: capire la direzione e trovare un fondamento sul quale costruire un punto di vista. È meglio avere un punto di vista sbagliato che non averne nessuno. Quella di oggi è tutt´altra stagione. Ha vinto quella che allora alcuni di noi incominciavano a sospettare come politica "senza fondamenti". Una politica che si occupa più della rappresentazione del mondo che del mondo e dei suoi problemi. Lasciando ovviamente ad altri nel backstage la gestione e la soluzione dei problemi reali. Non sono impressionato dalle leadership, ma è necessario che esse usino il consenso ottenuto per andare dietro la scena a tentare di risolvere i problemi quotidiani della gente. Quando finisce l´evento, gli esclusi restano, e tu devi occuparti di loro. Sarebbe una beffa lasciare soltanto a papa Francesco questo sguardo e questo invito.
La politica dovrebbe essere soprattutto partecipazione.. per questo non basta twitter. Che ne pensi?
I mezzi di comunicazione servono ovviamente a comunicare... Il problema è evitare una comunicazione vuota e narcisistica. Un narcisismo che non nasce dentro, ma è indotto da sopra e da fuori dal comando della società dei consumi. Mi va bene usare twitter, purché non si sottoponga tutta la realtà a una lettura veloce. Diceva WoodyAllen: "Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto "Guerra e Pace". Parla della Russia"... Sono rimasto un cattolico democratico impenitente e aperto al futuro, e penso, come Sturzo, che la democrazia non sia un guadagno fatto una volta per tutte e che debba essere ogni volta rigenerata attraverso la partecipazione. E che i luoghi essenziali della partecipazione siano i Comuni e le associazioni: quelli che giustamente la dottrina sociale della Chiesa continua a chiamare "corpi intermedi". Non solo le ACLI debbono essere attente ai corpi intermedi e capaci di ripartire ogni volta da essi.